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Santa Teresa Express – Pozzallo

Scendere dall’autobus era un movimento furioso, e per il viaggio e per la frenesia di andare a mare. Ma la vera motivazione erano le cabine. Chi prima arrivava prima sceglieva. E noi correvamo fortissimo per prendere la nostra preferita quella da cui ci saremmo godute il pranzo guardando il mare. La signorina Margherita aveva una mise da far invidia ai tuareg del deserto, si intravedevano solo i polpacci. In quei tempi in cui i costumi non si acquistavano nei negozi, mia sorella provvedeva a cucirmene uno. Era un costume ricavato da vecchi maglioni di lana, quando uscivo dal mare quel costume ne avevo assorbito una quantità tale da costringermi a passare dieci minuti a strizzarlo da tutti i lati. Dopo il pranzo c’era la siesta, ed era il momento in cui i ragazzini tentavano l’approccio. Ma tra loro e noi c’era la Signorina Margherita che provvedeva a spazzare via ogni speranza di quegli improvvisati corteggiatori. Un giorno venne a farci visita un nostro cugino. Lei non era stata avvisata da mia madre e nonostante mia sorella cercò di convincerla, lei con tono perentorio disse “no! Ca masculi nun a’na beniri”. Altre volte riuscivamo a fare la “barchiata” con i ragazzi venuti a raganzino con quelle barchette che a mala pena tenevano il mare, sempre sotto l’occhio vigile della signorina.

Verso le cinque la vestizione e si raggiungeva la ressa per l’autobus. Stanche come eravamo si tornava a casa, salutando il mare, non sapendo quando avremmo rivisto quel filo blu tra il cielo e terra.

(V.p tratto da un racconto di G. Cataldi Manfrè)

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