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Sampieri e Pozzallo. Quel mare che suonava di musica blu.

La scoperta del mare di Sampieri e di Pozzallo fu tra le più straordinarie che feci durante la mia adolescenza a Modica. Venivo da Siracusa, col mare che bagna Ortigia, l’isola più antica della città.
Il Mare siracusano, quello che i Greci avevano chiamato thalatta, era bellissimo, ma accompagnava la città dappertutto: era una sorta di confine.
Al contrario fu la scoperta di Sampieri, con la sua baia a falce di luna. Era la borgata perfetta per la mia fantasia…
…Il mare di Sampieri fu la realtà della grande acqua. Era azzurro come il manto delle Madonne del Rinascimento, e quando il sole vi si dimenticava sopra, diventava un universo di piccole onde che si cullavano nella baia fino a sera. Col sole o con la luna, Sampieri aveva una spiaggia grandissima, con delle dune di sabbia così alte, che vi scivolavamo sopra dentro a una vecchia bagnalora. Vi erano anche un paio di pantani, dove saltellavano ai bordi i piccoli “Cavalieri d’Italia”, nervosi e sensibilissimi uccelli dalle zampette magrissime, che lasciavano le loro impronte sulla sabbia.
Vi si organizzavano gite con la mia famiglia e parenti, e quando sulla spiaggia si smontavano le quattro lunghe e robuste canne che avevano tenuto un grande lenzuolo alla maniera araba, durante il ritorno a Modica, mi veniva una grande malinconia. Nemmeno a Siracusa, dove ero nato, avevo tanto amato quel mare.
A sampieri le persone, poche, e i pescatori, erano molti affettuosi e gentili, e spesso ci donavano la loro pesca, quando arrivavano con le piccole barche che sembravano gusci di noci vuote sulla battigia.
Pozzallo aveva invece qualcosa del film Casablanca, con strana gente interessante e giovani dalle camicie colorate. Le persone anziane si sedevano sui terrazzini che davano sulla strada principale, le ciappette, e dietro di loro cadevano a fontana i gelsomini…
… A pozzallo, meraviglia delle meraviglie, c’erano gli chalet con le cabine. E una volta, con la luna che più grande non poteva essere, visto che c’erano dei compagni con le Lambrette, decidemmo di restare e andare in uno chalet. La cosa interessante, come capii subito, era quella di mettersi sotto il tavolato, con le spalle sulla sabbia, e cercare di sbirciare dalle fessure le gambe delle ragazze.
Ci riuscimmo relativamente, perché al buio non si vedeva nulla. Arrivò solo la polvere che cadeva sugli occhi. Tornati a casa, mia zia Giovanna, si preoccupò
moltissimo “Avresti potuto diventare cieco”, fu il rimprovero più forte, io che avevo sognato per la prima volta il peccato. Dimenticai il mare per alcuni mesi. Ma continuò a danzarmi nel cuore, a cullarmi, a suonarmi una musica dentro che era blu. Può esserci una musica colorata? Ah, il mare!…

(testo completo su “Teatro delle pietre e giardini sul cielo” – F. A. Belgiorno – Petralia Editore – in vendita presso libreria La Talpa – Modica)

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