La Latteria, il giardino sulle basole del Corso
Della “Latteria”, prima di accennare un po la storia di caffè diventato luogo ideale per darsi appuntamenti, vi sono immagini che si sovrappongono e che, pensandoci, mi fanno sorridere nei momenti in cui penso a Modica com’era.
Alcuni personaggi che furono molto noti, tutti ormai trasbordati nell’eternità, si riunivano, e non solo d’estate, attorno ai tavolini sul marciapiede su cui dà il caffè, e parlavano d’arte. In realtà non ne sapevano molto, ma parlavano in maniera così accaldata e accattivante, che era come trovasi di fronte ad una strana università. “Ho un quadro di Garibaldi che perlomeno è del Seicento” poteva essere l’inizio di una di quelle discussioni.
Accadevano queste storie, soprattutto nelle lunghe serate estive, con i cinque alberi che proteggevano il caffè dal Corso come gendarmi dalle rigide mantelline verdi. La “Latteria” fu un ritrovo che ebbe diverse fortune e funzioni. Agli inizi degli anni Sessanta, divenne il luogo dove si riuniva una sorta di giovinezza dorata che si dava arie di nobiltà, una sorta di Giardino dei Finti Contini.
Ma quel luogo, originariamente, era stata la latteria di don Emanuele Rizza, capostipite di quella famiglia che poi si era specializzata nella produzione di gelati e semifreddi. Ed era fatale che quell’indicazione di latteria, rimanesse poi nella memoria collettiva. Tanto che il caffè, che era una sorta di luogo importante, non indicato ancora dalle guide per i gelati come ve ne sono oggi, produceva il famoso “pinguino”, ricoperto di cioccolato, dentro a una tasca di carta trasparente, su cui stava scritto: “C’è un moretto del Brasile, che si chiama Bancadile, egli dire a tutti quanti, se volere un bel pinguino, tu andare da Peppino”. Che non erano versi da immortalare ma sembravano scritti da un grande poeta se si pensava alla bontà di quel gelato, che usciva fumante dalla sua custodia per la differenza di temperatura tra il frigorifero e il calore estivo.
Alla “Latteria” si diedero appuntamento coloro che contavano e quelli che credevano di essere qualcuno. Belle erano le riunioni serali ai tavolini, con le famiglie ancora integre, talvolta con i parenti e gli amici che arrivavano dal “continente”. E fra le cose che non si scordavano più, c’erano il tartufo, il gelato gianduia, lo spumone di caffè, delizie della “Latteria” che, ancora, hanno i loro affezionati.
(tratto da “Teatro delle pietre e giardini sul cielo” – F. A. Belgiorno – Nino Petralia Editore 2008)
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