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Il caffè che profuma di storia

Andando indietro nelle tradizioni di una città, i caffè appaiono come luoghi di pace e di benessere. A modica, molti di essi fanno parte di una sorta di mitologia casalinga che stenta a scomparire dalla memoria collettiva. Ve ne erano molti, più di oggi forse, e diversi per concezione, per pubblico e per provenienza. Il caffè Orientale, col mitico Pietro Rocca che serviva in ghette bianche, il Caffè del Popolo, luogo in cui gli operai e i contadini si riunivano soprattutto per le feste comandate, il Caffè Bonaiuto, tempio e ghetto di intellettuali e socialisti, riuniti sempre agli stessi orari, con un girare di stagioni che era sempre uguale. Questi Caffè godevano dello spettacolo della gente che li frequentava, e talvolta servivano agli artisti di passaggio, ai registi che nella nostra città girarono film come Anni difficili e Divorzio all’italiana, a scrittori come Vitalino Brancati, Bufalino.
Il Caffè Bonaiuto, ai tempi a cui mi riferisco, non sarebbe stato mai un tempio del cioccolato, come lo è oggi. Era un locale nemmeno molto grande, con l’entrata in cui faceva bella mostra il grande bancone con la vetrina dalla quale si vedevano pasticcini e i cannoli, e accanto, la cassa con la signora Bonaiuto per prima, e poi il Signor Carmelo Ruta, che assommò al suo sorriso la bontà e la pazienza, sorelle entrambe di una vecchia educazione. La bellezza di questo caffè, all’epoca in cui i socialisti si riunivano attorno all’avvocato Carmelo Nifosì e speravano nella rinascita del paese e del Pese, era anche in quel lavoro psicologico che facevano i padroni.
I segreti di questo Caffè, custoditi da Franco e Pierpaolo Ruta, sono sicuramente di entrambe le origini: dolciari e sociologici. E questa ultima parola, credo, passi perfettamente per l’atmosfera degli anni Cinquanta quando, ad entrare, erano il Giudice della Corte d’Assise, l’Avvocato di grido che difendeva un povero delinquente, e si tirava dietro un codazzo di ammiratori e parenti, il Professore che presiedeva agli esami del Liceo, e che veniva osannato a seconda delle cifre sulle pagelle, ma anche i famosi artigiani che commentavano i temi della politica mondiale, convinti come erano, di mettere a posto il mondo…
…Quasi un mezzo filosofo, “don carmeno” conosceva la storia di tutti gli avventori. Talvolta trattò male uno di noi che si dava arie dicendo “che il proletariato deve finalmente privarsi del giogo (diceva il gioco!) del capitalismo borghese”; altre invece fu paterno e comprensivo. Lo ricordo quando portava le granite di mandorla con i frincozzi doppi: sembrava che dondolasse, sul piattino finto argento, una reliquia, un tesoro inestimabile valore.
Bonaiuto fu anche luogo di quella commedia silenziosa tipica dei film muti. Per chi voleva trascorrere un pomeriggio, bastava che si sedesse ad osservare le facce dei clienti abituali e degli altri. Questi ultimi erano come gente di mare che capitava per caso in un luogo, ma non se ne andava più. Allora vi erano sorrisi degli innamorati, le contraddizioni dei politici che litigavano con affetto…
…Che tempo meraviglioso fu quello e non so se sia il ricordo a farsi rimpianto. Talvolta mi sembrò d’essere al Procope di Parigi. Un capolinea, un tram che si chiama desiderio.

(tratto da “Teatro delle pietre e giardini sul cielo” – F. A. Belgiorno – Nino Petralia Editore. Libro disponibile presso libreria La Talpa – Modica)

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