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Il Largo dello stretto

Largo Rizzone è il grosso pomo di quel bastone che è il Corso, al punto più basso del paese.
È largo, ma lo chiamavano «Stretto», perché, quando Modica era una specie di Venezia, con l’alveo del Corso scoperto, un angusto ponte univa la via Vittorio Veneto con l’angolo del «granaio» della Contea, dove ora sorge il Palazzo Calabrese. Coperto l’àlveo, divenne «largo», ma lo si continuò a chiamare «Stretto», senza ironia. Il Largo sembra l’ampia arena di un anfiteatro, sotto gli sguardi di un’infinità di piccoli belvedere. Arrampicate sulle pendici del Monserrato, della Giganta e delle altre fiancate a dritta e a manca, le case fissano i loro occhi curiosi, contemplati-vi o indifferenti.
Al centro della piazza hanno deciso di metter su una vasca. Che cosa ne verrà fuori? Intanto si aggiusta la soma. Pare che il sarto, indispettito, abbia deciso di soprassedere. Ha recintato con merletti di ferro il posto e aspetta che qualcuno si decida a definire di che cosa mettere sotto la fontana. Ma il problema è di sapere chi si prenderà gli spruzzi della fontana quando la colonnina prenderà la via dell’esilio.
Dal Corso, svoltando a destra e passando dal Palazzo dei Ferrovieri, eccoci in via Vittorio Veneto, una bella strada, la cui aria stuzzica la fantasia. Gli orti che stavano tra il Palazzo Di Martino e il Pastificio Guerrieri stanno scomparendo del tutto. Prima vi sorse l’Istituto Professionale per l’Agricoltura, una specie di caserma, tozza e scombinata; ora accanto sta sorgendo un’enorme costruzione, che dovrebbe essere non so se cinematografo o grande albergo. Deve comunque trattarsi di una cosa in grande, perché da molto tempo squadre di operai vi lavorano in pochi, sì, ma assiduamente.
Aria di trasformazione anche sul lato sinistro della via Conceria, dove le bottegucce sono state soppiantate da officine. Persino il vecchio fondaco «Billizzi», che ospitava di tanto in tanto frotte di zingari che poi invadevano il paese, ora non c’è più. Una nota di colore è stata cancellata. Dove vanno adesso quegli sciami di straccioni che si sparpagliavano per le viuzze del paese con trappole per i topi o con gli arnesi per riparare ombrelli e vasi rotti, mentre le donne avvolte in scialli, se ne andavano di porta in porta per leggere la «ventura» e togliere il malocchio?
Qualche passo ed eccoci davanti alla fabbrica di ghiaccio della ditta Guastella, ancora prospera nonostante l’avvento del frigorifero. Sopra la via Conceria il terrazzo della Madonna delle Grazie, che si affaccia a guardare lo stupendo panorama del paese che si stende e si arrampica per le fiancate della valle.

(Viaggio nei quartieri di Modica, Valerio Marino)

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