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Corriere di Modica 1956

Un interessante articolo del 1956 tratto dal Corriere di Modica e scritto da Cesare Brandi che ci racconta in maniera unica il Duomo di San Giorgio in un tempo in cui non esistevano social e “marketing territoriale” e le descrizioni erano frutto della capacità di saper cogliere meglio di altri la realtà che li circondava.

Tale gusto architettonico (il #Barocco, ndr) che è ancora una propaggine romana così diretta e per nulla spagnolesca, potrebbe sembrare giunto all’apice nella Cattedrale di Ragusa, per chi non conoscesse il Duomo di San #Giorgio a Modica.

Ma San Giorgio di Modica, che per tanti lati la ricorda e per tanti se ne differenzia, costituisce un tale stupefacente monumento da non poter temere il raffronto neppure con qualcuno dei più celebrati di Roma stessa, come la Trinità dei Monti.

La città, piuttosto che incentrarsi su tale straordinario edificio, lo nasconde: bisogna cercarlo, e sembra impossibile che non appaia di colpo, quando s’entra in Modica, tale è l’altezza, l’imponenza, lo spazio infine che occupa, avanzando con la sua interminabile scalea attraverso un intero quartiere. Via via ogni rampa di scale conduce ad una strada da cui riprende a salire, e la Chiesa, col suo altissimo corpo centrale, si vede nascere in vetta a poco a poco come s’alzasse sull’orizzonte.

Quando finalmente si è sotto, l’imponenza è tale che sembra occupare tutto lo spazio disponibile. Anche il vuoto che resta tra la facciata e noi è talmente connesso e comandato dal contrappunto architettonico, che non è più un vuoto, ma fa blocco, come l’acqua che gela di colpo in un recipiente. L’audacia e l’estro fantastico affiora, nella facciata, in ogni particolare, non si rivela solo nel concepimento ardito e solenne, seppure alla base di tutto sta certo l’idea di aver fatto servire il prospetto intero da basamento al torrione centrale.

Nulla di più dinamico di quel dilatarsi orizzontale delle ali, che per così dire vengono ad essere risucchiate e trascinate in alto fino a toccare il cielo. Qui gli spunti #borrominiani si uniscono a cauti ornati rococò che vengono contenuti strettamente, innervati sulla plastica sinuosa, irrequieta, a cui le forti strutture scandiscono e quasi percuotono un ritmo vigoroso.

La bellezza e la novità di tale Chiesa è tale che lì per lì fa quasi dimenticare la città su cui si trova annidata. Una città al fondo di un grandioso burrone, entro cui non è soffocato l’abitato, ma piuttosto protetto. E in mezzo all’abitato passa una strada larga, un po’ serpeggiante, come il greto asciutto di un fiume.

#Modica sta sui bordi della strada, si svolge lentamente, si incammina quasi in modo furtivo fino a raggiungere il ciglio dei roccioni. Di là contempla, un po’ disoccupa e malinconica nella luce arida e fulgente della Sicilia.

“Corriere di Modica” n. 9 del 26 febbraio 1956, Cesare Brandi, in “Il Cicerone Vagabondo”.

Un sentito ringraziamento a Piero Boncoraglio per la segnalazione.

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